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Perugia e il suo territorio nella tarda antichità

 

Un momento importante della storia perugina è rappresentato dal breve regno di un suo cittadino, Gaio Vibio Treboniano Gallo (251-253): la città assurse al rango di colonia – l’iscrizione Colonia Vibia si legge ancora sugli archi delle principali porte urbiche – e seppe anche giovarsi appieno del favore di cui finì per godere da parte dell’imperatore.

Il fatto che alla metà del VI secolo d. C. Procopio di Cesarea, nel suo Bellum Gothicum, la indichi a più riprese come principale città della Toscana ne costituisce una prova palese. La città, munita a tal punto da risultare inespugnabile o quasi, era riuscita ad adeguarsi al mutare dei tempi e a mantenere in piena efficienza il proprio apparato difensivo. Esso, costituito dalla cinta muraria realizzata in epoca etrusco-romana, doveva essere di tale imponenza da impressionare lo stesso storico greco. All’esterno delle mura si era sviluppata un’area suburbana nella quale si trovavano strutture di vario tipo a supporto della vita cittadina nel suo complesso. Vi erano così l’anfiteatro, presso l’attuale Palazzo Penna, e una struttura termale presso la Conca, realizzata probabilmente intorno al II secolo d. C. Se dell’anfiteatro si hanno resti ancora visibili nella parte inferiore del palazzo suddetto, delle terme, trasformate nel IV-V secolo d. C. in un edificio religioso prima che un incendio lo distruggesse alla metà del VI, si può ancora vedere parte del pavimento musivo.

Al di là di queste strutture e di altre ancora presenti nella città in epoca tardo antica, come il foro, individuato nell’area dell’attuale Piazza IV Novembre, o templi dedicati a varie divinità – all’interno della Porta Pulcra ancora nel secolo VII è attestato un vicus Iovis forse relativo ad una via che conduceva ad un tempio dedicato a Giove –, occorre sottolineare come il nucleo urbano abbia mantenuto, nel suo complesso, la piena funzionalità, sia a livello istituzionale che sociale ed economico nel suo complesso. Ciò si deve soprattutto allo standard elevato che la produzione agricola riuscì a mantenere nel territorio adiacente negli ultimi due secoli dell’antichità.

Nonostante molte strutture di produzione agricola fossero scomparse nel corso della grande crisi del III secolo d. C. – divese sono infatti le villae venute alla luce che mostrano segni di abbandono riconducibili a questo periodo –, tante sono anche quelle in cui si continuò a svolgere l’attività agricola: non poche, infatti, sono le attestazioni di massae in territorio perugino, soprattutto di quelle di proprietà della Chiesa. Dalla massa di Passignano a quella di Mantignana, da quella di S. Maria di Ancaelle a quella di Pieve Petroia si possono cogliere i segni concreti di una continuità tra la tarda antichità e i primi secoli dell’età di mezzo. Non è dunque casuale il consistente numero di insediamenti perugini presenti nel medioevo che, almeno nel nome, mantengono elementi volti ad attestarne l’origine in epoca antica. Si tratta dei cosiddetti toponimi prediali con la desinenza finale in –ano, quali Agliano, Corciano, Lisciano, Marsciano, Mugnano, Passignano e via di seguito, o in –ana, Mantignana, Migiana eccetera, ma anche di altri nomi come Agello, da agellus, Petroia da praetorium ed altri ancora. Nella maggior parte di questi luoghi si hanno presenze archeologiche d’epoca romana e, in certi casi, anche precedente.

Con Teodorico si diede inizio ad un ulteriore processo di recupero delle strutture agricole, e l’agricoltura finì per riappropriarsi almeno in parte delle posizioni perdute in passato. L’impulso dato dal sovrano goto dovette trovare in Perugia una realtà già pronta ad accoglierlo se è vero che, all’inizio del V secolo si provvedeva alla costruzione di chiese anche nelle campagne. Di questo processo si ha una chiara attestazione nella basilica Sanctorum Angelorum fatta erigere dal vir spectabilis Memmio Sallustio Salvinio Diannio nel territorio di Corciano. Al di là del caso specifico, un simile processo attesta in maniera chiara la vitalità dell’area rurale perugina al punto che, probabilmente, si può legittimamente pensare anche ad altre strutture religiose fondate nelle campagne locali in questo stesso periodo. Queste sono forse da individuare in quelle ubicate in prossimità dei luoghi di sepoltura d’epoca precedente, come la pieve di S. Giovanni di Campo, presso la necropoli del Palazzone, o quella di S. Sabina a Strozzacapponi.

Se da un lato il periodo di dominazione dei Goti si tradusse per Perugia nel consolidamento del processo di ripresa economica che l’aveva in qualche misura interessata nei secoli IV e soprattutto V, dall’altro fu comunque nefasto per gli effetti che produsse in quanto la città si trovò pienamente coinvolta nella guerra gotica. Al contingente militare goto stanziato in città si aggiunsero numerosi presidi militari insediati nei punti strategici del territorio, lungo i maggiori assi viari. Uno di quetsi era situato presso il Tevere, in prossimità del luogo in cui veniva attraversato dalla via Amerina e dove, nel basso medioevo, è attestato il guado di Getola; un altro era lungo la via tra Perugia e Cortona, a Montigeto; un altro ancora nei pressi di S. Giovanni del Pantano, sulla sommità del Monte Gudiolo a dominare la strada per l’Umbria settentrionale, mentre un altro era lungo la strada per Chiusi, al vocabolo Godiola nei pressi di S. Arcangelo. Questi insediamenti dovevano di fatto contribuire a fare della città e del suo territorio elementi di primaria importanza del sistema difensivo messo in atto dai Goti a sud di Ravenna, per la difesa di questa città. Ma tale sistema, come è noto, non fu in grado di reggere all’urto dell’esercito che Giustiniano inviò alla riconquista della penisola, e le città dove i Goti si erano arroccati caddero una dopo l’altra nelle mani di Belisario e dei suoi ufficiali.

Solo alcune, tra cui non certo Perugia-i cui abitanti aprirono le porte ai Bizantini-resistettero per qualche mese. Nonostante l’esiguità dell’esercito agli ordini di Belisario, che nel 535 era sbarcato in Sicilia con 7.500 uomini più la sua guardia del corpo, nel volgere di un anno, nel dicembre del 536, le truppe bizantine erano giunte a Roma dopo aver conquistato la Sicilia ed espugnato Napoli dove, a quanto sembra, più accanita fu la resistenza offerta dai Goti. Dopo aver riorganizzato le difese della capitale, nell’inverno del 537 Belisario inviò parte dell’esercito, probabilmente rimpinguato da soldati arruolati negli insediamenti già caduti in mano all’impero, alla riconquista delle città della Toscana e dell’Umbria. Il generale Bessa, dopo averla conquistata, si fermò a Narni, mentre l’altro generale, Costantino, proseguì verso nord. Dopo aver espugnato Spoleto e presumibilmente altre città non menzionate da Procopio, entrò in Perugia senza colpo ferire.

Mentre l’esercito bizantino avanzava nelle regioni meridionali, quindi ancor prima della riconquista di Roma e delle città umbre, l’aristocrazia militare gota aveva sconfessato Teodato sostituendogli l’energico Vitige. Costui, quando i Bizantini occuparono le prime città umbre, si trovava in Ravenna e, informato della cosa, inviò un esercito per tentare la riconquista di Perugia. Il contingente militare goto, agli ordini di Unila e Pitza, verso la fine dell’inverno del 537 entrò nel territorio perugino e fu affrontato in campo aperto, nei sobborghi della città. Lo scontro avvenne probabilmente a nord-est della stessa, presso il Tevere, lungo la strada tra Perugia e Gubbio. Stando a quanto narrato da Procopio (V 16), l’ingente numero degli avversari rese dapprima incerte le sorti dello scontro, ma “poii Romani con il loro valore si dimostrarono più bravi e misero in fuga i nemici”, così che furono catturati i due comandanti goti e poi inviati a Belisario. La città di Perugia si dimostrava dunque ben munita e pronta a sopportare duri scontri con gli avversari. Quando Vitige si portò all’assedio di Roma, forte a quanto sembra di un esercito di 150.000 uomini, per timore di essere trattenuto presso Perugia seguì un itinerario che lo condusse da Ravenna verso Arezzo da cui, immessosi sulla Cassia, giunse a Roma. Dopo la sconfitta di Unila e Pitza, Costantino lasciò in Perugia un presidio a capo del quale pose Cipriano e si portò a Roma per contribuirne alla difesa, visto che i Goti erano in procinto di attaccarla. Le fasi successive della guerra gotica non interessarono più Perugia per alcuni anni.

L’incoronazione di Totila–Badwila era il suo nome di battesimo–segnò l’avvio di una fase in cui i Goti iniziarono una formidabile controffensiva. Tra il 542 e il 545 il nuovo sovrano recuperò un consistente numero di piazzeforti e, verso la fine della primavera o l’inizio dell’estate del 545, dopo aver preso Fermo ed Ascoli, fece la sua comparsa in Umbria. Dopo aver conquistato Spoleto ed Assisi, non senza fatica vista la resistenza offerta dai comandanti delle due guarnigioni, Erodiano e Sisifrido, alla fine dell’estate si portò sotto le mura di Perugia che, come le due città precedenti, si era già apprestata a resistergli. Totila offrì ingenti doni ai suoi difensori in cambio della resa e proferì tremende minacce qualora si fosse manifestata qualche opposizione. Ma l’azione del sovrano non ebbe esito per la ferma resistenza di Cipriano. Allora pensò di ottenerne la resa con un’azione proditoria: corrotto un sottoposto del comandante bizantino, fece uccidere Cipriano, e il suo assassino, Ulifo, disertò riparando presso i Goti. Tale azione, tuttavia, non dette i risultati sperati e il posto di Cipriano fu preso dall’unno Oldogandone che continuò la ferma opposizione a Totila. Fin da questa fase, probabilmente, inizia ad emergere la figura di Ercolano che contribuì in maniera determinante a tenere unito l’esercito e gli abitanti della città. Dopo qualche mese d’assedio, i Goti dovettero desistere, e le vicende belliche, se pur momentaneamente, si spostarono di nuovo altrove. Nell’inverno del 547 Oldogandone, con parte delle truppe di stanza a Perugia, partecipò attivamente al recupero della città di Spoleto. L’attività bellica contro i Goti in cui Perugia si trovò a partecipare, palesata dal recupero di Spoleto, costrinse Totila, nello stesso anno, a inviare truppe per cingere la città nuovamente d’assedio.

Verso la fine dell’estate del 547 Totila si dispose ad attaccare Perugia. Dopo la dura sconfitta patita dal sovrano quando aveva tentato di prendere Roma, occorreva una vittoria eclatante per rilanciare il prestigio del re e rincuorare i soldati. Stando al racconto di Procopio (VII 25), egli arringò infatti i suoi soldati evidenziando tale necessità e il già avvenuto invio di truppe presso la città. Egli avrebbe provveduto alla distruzione dei ponti sul Tevere, in modo tale che nessuno potesse disturbare le operazioni, promettendo un assedio di breve durata. Affermava anche che una città e un esercito senza comandante (Cipriano era stato ucciso) erano destinati ad essere facilmente sconfitti. Ma Totila si sbagliava, e di molto. Il sostituto di Cipriano, Oldogandone, diede prova del suo valore, probabilmente in stretta collaborazione con il vescovo Ercolano. L’assedio che doveva risolversi in poco tempo si prolungò al di là di ogni previsione. La città, pur tra innumerevoli difficoltà, resisteva in maniera accanita quanto inaspettata. Non è certo da escludere che l’incendio delle terme della Conca, già trasformate in edificio religioso, si sia avuto proprio in questa fase della guerra, come pure la distruzione dell’anfiteatro e di tanti nuclei abitati in area rurale, tra cui, forse, la città di Arna.

Totila, che non poteva permettersi di rimanere troppo a lungo presso Perugia, vi lasciò allora solo una parte del suo esercito e, nella primavera del 548, si recò nel meridione d’Italia. Qui, nel corso dell’estate, cinse d’assedio Rossano che, presa per fame, capitolò intorno al mese di settembre: e questo nonostante manovre diversive da parte delle truppe bizantine di stanza in Puglia e nel Piceno, che avevano lo scopo di distogliere Totila.

Perugia, lasciata a sé stessa, continuava a resistere, ma tanta resistenza non poteva durare ancora a lungo. Nel dicembre di quello stesso anno, forse nei primissimi giorni di gennaio del 549, la città capitolava e i difensori furono fatti prigionieri. Stando a quanto narrato da Gregorio Magno, Totila, informato della conquista, ordinò di passare a fil di spada tutta la popolazione presente all’interno della città – si trattava di coloro che avevano provveduto alla sua difesa, poche persone rispetto alla massa della popolazione che si era allontanata nel corso dell’assedio – e che il vescovo, ritenuto responsabile della formidabile resistenza offerta da Perugia, venisse punito in modo esemplare. Il comandante goto avrebbe dovuto fargli staccare una striscia di pelle dal capo fino alle calcagna, decapitarlo e gettarlo dalle mura. Eseguito l’ordine, il cadavere del presule fu sepolto insieme a quello di un bambino in una fossa comune. Quaranta giorni dopo il martirio, con la popolazione ormai tornata ad abitare Perugia, si ebbe la traslazione del corpo. Ma, scavata la fossa dove era stato sepolto, il cadavere di Ercolano si presentò intatto, mentre quello del fanciullo era ormai in stato di decomposizione avanzata. Il corpo del vescovo fu poi trasportato nella chiesa cimiteriale di S. Pietro dove trovò degna sepoltura.

Nel 552 Narsete, subentrato a Belisario nel comando delle operazioni militari in Italia, sconfiggeva i Goti presso Busta Gallorum, non lontano da Tagina, attuale Gualdo Tadino. La morte di Totila, in questa stessa battaglia, permise di confinare in maniera agevole i Goti oltre il Po e, con il ritorno di Narsete dall’Italia settentrionale a Roma, si ebbe la riconquista di Perugia e di Narni. Al comando della guarnigione lasciata da Totila a Perugia vi erano Ulifo e Meligidio, entrambi disertori romani. Costoro si trovarono nettamente divisi sul da farsi: il primo era per ovvi motivi pronto a resistere, mentre il secondo era disposto alla resa. Meligidio allora riservò ad Ulifo lo stesso trattamento che costui aveva riservato a suo tempo al proprio comandante e, dopo averlo fatto uccidere, consegnò la città alla truppe di Bisanzio.

Da questo momento, per oltre due secoli, Perugia rimase in mano ai Bizantini e, dopo l’invasione longobarda della penisola italiana (568) e la costituzione del Ducato longobardo di Spoleto, nella seconda metà degli anni ’70 del secolo VI, costituì la piazzaforte su cui si imperniò la difesa del cosiddetto “corridoio bizantino”, l’esile striscia di territorio a difesa della via che, nel tratto tra Narni e Gubbio, consentiva le comunicazioni via terra tra Roma e Ravenna. Soltanto in due occasioni, nella prima metà degli anni ’90 del secolo VI, fu occupata dai Longobardi, occupazione che tuttavia durò solo pochi mesi. Ma tali questioni, a cui si aggiungono tutta una serie di vicende che vedono ancora Perugia protagonista, non appartengono più alla tarda antichità. Con l’invasione longobarda, forse più ancora che con la caduta dell’Impero d’Occidente, un’epoca era definitivamente tramontata e l’alba era sorta sull’età di mezzo.

                                                                                                           Giovanni Riganelli