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L’ANFITEATRO

 

L’esistenza di antichi resti romani nei sotterranei di Palazzo della Penna era nota almeno fin dal sec. XVII, quando cioè Felice Ciatti, uno dei primi studiosi della Perugia antica, descrivendo in un passo delle sue Memorie annali et istoriche delle cose di Perugia l’area che si trova immediatamente fuori la Porta Marzia, riferendosi a quei ruderi ricorda come in questa zona della città “è fama essere stato il teatro di cui alcune poche reliquie credonsi esser rimaste nelle case dei Vibij, e se ne vede qualche vestigio nello spatio sferico di un’antica fabrica, sopra la quale dette case sono erette”.

Lo stesso Ciatti, comunque, in un passo successivo della stessa opera afferma che “l’amfiteatro…era già nella regione di [P.S.P], in quella parte ove ora sono le case dei Vibij, del che sino al giorno d’hoggi si vedon chiari vestigij, e restò in piedi fino alla venuta de’Goti, contro i quali servì quasi per Castello, e per Fortezza.”

L’interesse per questi antichi “vestigij” aumentò notevolmente nei secoli successivi e mentre il Crispolti e il Siepi non esitarono a vedervi ciò che restava della struttura dell’anfiteatro romano, la confusione tra teatro ed anfiteatro continuò ad essere presente anche nell’opera di altri illustri studiosi di antichità locali come il Bonazzi e il Santi.

Il restauro di Palazzo della Penna, avvenuto intorno agli anni ottanta, ha nuovamente riportato l’attenzione su queste persistenze, permettendone un’analisi molto più puntuale e corretta che ha definitivamente appurato la pertinenza delle stesse alla struttura di un anfiteatro. I sopralluoghi iniziali hanno rilevato come i resti conservati siano costituiti da frustuli di una struttura muraria situata allo spiccato delle pareti del palazzo attuale, disposta lungo un corridoio anulare che percorre l’edificio in tutta la sua lunghezza. L’andamento del muro antico è visibilmente inflesso e accompagna con esattezza la curvatura del corridoio di cui costituisce, per un lungo tratto, la parete interna.

Si tratta, insomma, di una struttura in opera cementizia, che presumibilmente costituisce il resto di un nucleo centrale di un muro dotato di un paramento esterno. Lungo il muro si schiudono aperture antiche, corrispondenti alle aperture di Palazzo della Penna. È probabile che si tratti della fronte esterna di una delle gallerie periferiche.

La lunghezza della parte conservata è di circa 35 m., mentre la larghezza varia dagli 80 ai 150 cm.; per l’altezza si arriva ad un massimo di 3.20 m. e il raggio della curvatura visibile è di circa 54 m.

La ricostruzione dell’intera curva produce un’ellisse con diametri pari a 60 e 80 m., anche se queste cifre possono contenere consistenti margini di errore, visto la frammentarietà della struttura conservata. In fondo alla parete del sotterraneo più settentrionale, è stata inoltre rilevata la presenza di una nicchia in opus vittatum  indicante, probabilmente, la posizione del lato corto di un ambiente cuneiforme di sostegno della cavea, e questo fatto potrebbe consentire di conoscere la posizione del podium e dell’euripus, e quindi anche quelle dell’arena, le cui dimensioni dovrebbero aggirarsi intorno a i 45 x 26 m.

E’ probabile comunque che il perimetro sopra ricostruito non costituisca esattamente il margine esterno dell’anfiteatro, e in questo caso la struttura avrebbe potuto estendersi più a valle, fino al limite sud-est di Palazzo della Penna, ma al momento non vi sono dati per dimostrarlo. 

Sfortunatamente la mancanza di resti della parte a monte e l’attuale sistemazione urbanistica di quest’area, impedisce di sapere se l’anfiteatro fosse interamente costruito o se, verso le mura urbiche, fosse appoggiato ad un terrapieno.

L’esiguità e lo stato attuale delle strutture conservate, infine, non permettono di fornirne una datazione precisa: è probabile, comunque, che esso, unitamente forse ad altre strutture, fosse compreso in un progetto più ampio, concepito in seguito ai fatti del bellum Perusinum e promosso da Ottaviano stesso, teso a ridisegnare il profilo urbanistico dell’intera città.

     Lucio Benedetti